07/03/10

Piera Mattei, L’EQUAZIONE E LA NUVOLA


["I was looking for an equation within those clouds, but I actually only found a long road underneath". Foto di Marzia Poerio]


Piera Mattei, L’EQUAZIONE E LA NUVOLA, Lecce, Manni, 2009


TRE POESIE TRATTE DAL VOLUME, INVIATE DALL'AUTRICE:

1.

NOI

Noi non comprende che due
ogni volta due soltanto

così ci teniamo per mano
come monade doppia

nel deserto dove lo spazio
ha la meglio
"noi" è un punto lontano
che sembra immobile

eppure, benché senza fretta
senza direzione
noi ci muoviamo!
come da figlio a figlia
d'un mantello di sguardi
ci proteggiamo


2.

NOMADISMO

a testa in giù non sempre
sempre intorno a un asse
a un centro che mai tocchiamo

nomadi tutti nel movimento
che ci sorprende
– spinta o sussulto

rincorriamo l'astro
che assorto nell'orbita
recita l'inganno d'oggetto piccolo
e sei tu che lo indichi
nello spazio aperto!

dormiamo la testa tra le ginocchia
in ostinata posizione di stiliti

nel passaggio ai fuochi dell'ellisse
le unghie
s'inchiodano ai palmi



3.

I.

LEGGEVO DESCARTES
- QUANDO L'ANIMA CONVOCA IL RICORDO

quando l'anima convoca il ricordo
come cagna se ne mette in caccia
le tracce ne odora – si sporge
ai lati della casa
non vede oltre lo spigolo
scende le scale rapida

lungo tragitti scuri
lo sospinge
con una sola mano
l'afferra
torcendosi con l'altra
ciocche dietro le tempie

finché d'impatto tuonano
le luci a giorno

quasi estenuata
per poco si dibatte
gioca a lato del ramarro verdissimo
spillante linfa d'esagerato rossore


II.

LEGGEVO DESCARTES
- LE TRACCE LASCIATE DAI RICORDI

Le tracce lasciate dai ricordi
sono pori
che l'anima attraversa
e vi soggiorna
fino a che

l'anima vuole
il ricordo solo per sé

sporgendosi ai quattro lati
della casa – dai balconi
lo cerca con dilatate pupille
di lontano lo stana
a sé lo stringe
con garbata presa
disperata e allegra

lo sospinge ora
lungo tragitti stretti senza luce
– ma le tracce hanno odore –
ora con una sola
mano lo tiene stretto – con l'altra
s'attorce ciocche di capelli
dietro le tempie

ed ecco tuona in luce piena

l'anima adesso si concede
di riposare a lato
d'un ramarro verdissimo
spillante linfa d'esagerato rossore


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NOTE DI LETTURA DI LUIGI CELI:

L’EQUAZIONE E LA NUVOLA, l’ultima raccolta di poesie di Piera Mattei, è un viaggio, una rivisitazione di memorie, immagini, sensazioni, dalla Sicilia alla Grecia al Marocco, da Duino Milano Parigi Chicago a Roma, perseguita con attenzione al linguaggio.

Si tratta di un unicum rastremato nella scelta terminologica, senza concessioni all’aggettivazione. Vi si predilige l’attività di “nominazione” (p. 53) delle cose e degli eventi: “Nomi. In quello studiato Giardino / i nomi sanno quale impegno sia / farsi riconoscere e restare/ scritti in modo corretto” (p. 55). Il nome fa esistere gli animali: l’airone, per esempio, che “attende/ che si dica: ‘Ecco un airone / cinerino!’” (p. 57), e fa sopravvivere personaggi noti: “nominiamo Michelet Byron Cvtaeva / che abitarono qui / - atomi della loro intelligenza sono con noi/ e noi siamo dentro la stessa/ invisibile onda” (p.58); nomi che un giorno verranno meno (cfr. p. 56) - “il nome che più non chiami / che non leggi più / senza incendio / brucia / - s’annera” (p. 42).

I significanti sono adeguati al significato; la struttura è complessa, spesso giocata tra detto e non detto. Si cercano esperienze in immagini e lacerti di senso; le rime interne sono usate con misura; il registro sommesso si accompagna ad un parlato raffinato; il gusto del raccontare si coniuga con la tendenza a ripercorrere il reale lungo diversi piani storici e di attualità. La suggestività di Sicilia, Grecia, Marocco viene comunicata in modo formale, tale da indurre partecipazione alla sacralità di luoghi e antiche culture.

Il backgroud filosofico dell’autrice la spinge a mantenere una distanza brechtiana e a cercare compensazioni al perturbante sacrale, storico e naturale; emerge una propensione al razionalismo, subito però ridimensionata dal dubbio. Ciò spiega il richiamo a Descartes nella sezione PALINSESTI.

Il doppio componimento LEGGEVO DESCARTES sviluppa ellitticamente un pensiero di Cartesio: “quando l’anima convoca il ricordo / come cagna se ne mette in caccia / le tracce ne odora...” Il testo, tuttavia, è anche antinomicamente freudiano: l’anima che “convoca il ricordo” “scende le scale rapide / lungo tragitti scuri / lo sospinge / con una sola mano l’afferra”. Quali scale sono queste se non quelle della psiche? Se l’anima in Cartesio si identifica con la res cogitans, in Freud solo in parte la psiche è ragione. L’“io”, come ragione, è una struttura di superficie, che Freud paragona a un corpo calloso; il profondo della psiche, l’inconscio, è più vasto. Il fondatore della psicoanalisi è l’anticartesio. Nella poesia di Piera Mattei l’anima procede in uno scavo che può somigliare a una discesa disorientante nel sommerso e agli inferi da cui tornare con un brandello di verità che possa solo per breve tempo pacificarci.

Il secondo componimento di LEGGEVO DESCARTES suggerisce la teoria atomista che gli oggetti emanino atomi e riproducano immagini imprimendole nell’anima. Gli atomi penetrano attraverso gli occhi e i pori del corpo, e l’anima, lucrezianamente, se vuole raggiungere i ricordi-immagini, deve passare per gli stessi canali: “le tracce lasciate dai ricordi / sono pori / che l’anima attraversa / e vi soggiorna / fino a che / l’anima vuole / il ricordo solo per sé”. I versi successivi esprimono una lotta e sono più o meno ripetuti anaforicamente nel primo e nel secondo componimento. Il conflitto prosegue finché il ricordo “tuona in piena luce”, ovvero viene alla coscienza, poi sopraggiunge la quiete, c’è pace con se stessi, col corpo, con la natura animale: “l’anima si concede [...] di riposare a lato / di un ramarro verdissimo / spillante linfa d’esagerato rossore”, cioè anche con gli aspetti crudeli, sanguinanti, dell’essere.

L’operazione di rimemorazione è mirata alla conoscenza. Proust in una lettera scriveva: “l’arte è un sacrificio perpetuo del sentimento alla verità”. La soggettività del sentimento è tenuta a freno da Mattei in vista di una rappresentazione del vero, che richiede lucidità, distacco, ma anche realismo e fisicità. L’autrice non crede alla verità assoluta; la ridimensiona alla sfera del vissuto e del conosciuto fenomenicamente. Con Kant, ritiene che “il solo fenomeno ci sia accessibile, e di quello solo possiamo distrarci a ragionare, ingannando la consapevolezza profonda dell’inutile aggressione al noumeno” [1]. Lo si vede nell’attenzione che questa poesia assegna alle percezioni: “l’odore delle case, delle chiese”, persino dei crisantemi in putrefazione, (p. 111) “il rumore di tazzine” (p. 78); o alle cose: una pianta che spunta "dall’umide pietre", “i nidi scontrosi di passeri”, gli “antichi vasi in colmi secchi”. (p. 25) “i pannelli” issati sui grattaceli di Chicago, (p. 96); o anche alle piante, agli animali - le colombe, il gatto, il gufo -, realtà percepite nel quotidiano, cose e soprattutto immagini: “non amo i ricordi – i racconti sul filo dei ricordi / ma le immagini dei ricordi che mi raggiungono / quelle le afferro / in queste brevi mani le tengo strette / - davanti al mio viso che non vedo” (p. 68).

In OLEANDRI, gli alberi si presentano quali “immagini della mente [...] / offrono la loro ombra rosata / a un gatto striato”; addirittura si vedono “del gatto i pensieri” e, con ironia, “li leggo quasi fossero stampati/ nell’impercettibile movimento delle orecchie / si prepara ad occupar e/ più comodi spazi dentro la casa / e ancora di più nella mia mente” (p. 20).

Legato a OELANDRI, il testo intitolato NOI è anch’esso emblematico: “Noi non comprende che due / ogni volta due soltanto / così ci teniamo per mano / come monade doppia”. Nella monade di Leibniz, “senza porte e senza finestre” c’è in microcosmo il macrocosmo, dalla monade non si esce e non si entra, l’ordine del pensiero corrisponde all’ordo rerum. Quali l’oleandro e il gatto in OLEANDRI, così tutto ora è in immagine nel nostro pensiero, tutto è già in noi. Data la presenza di oggetti del quotidiano, potrà, ingannevolmente, sembrare che si attui una scelta di campo minimalista. In realtà i versi intessono una tela di oggetti, animali, persone, che sono forme e luoghi iconici a volte raggelati: topoi-archetipi, che non si riducono a meri dati realistici. Gli oggetti, come in Hopper, vengono sovradimensionati con similitudini e allegorie. Il raggelamento iconico nasce kantianamente nel “libero gioco di immaginazione ed intelletto”, non comporta disamore, anzi rivela l’amore per la vita, le piante, gli animali. I riferimenti biologici si caricano spesso di simbolicità antropomorfa, come a voler ribadire una linea di continuità evolutiva tra i mondi vegetale, animale e umano.

Per ultima qui l’analisi dei testi, particolarmente evocativi, delle prime sezioni della prima parte.

La prima sezione, DIRAC E LA NUVOLA, raccoglie testi scritti nel luglio 2008 a Erice. Si sviluppano, su piani paralleli, poesia e ragioni metapoetiche. L’autrice spiega l’origine del titolo in esergo: Erice, che “legava il suo nome a Venere Ericina”, sede di numerosi conventi di origine medioevale, “oggi trasformati in sedi per incontri internazionali sulla scienza”, “gode di un microclima per cui fredde nuvole l’attraversano in corsa, in piena estate”.

Il primo testo del libro, LEGGEVO KEATS, prende spunto dalla chiusa dell’Ode ON A GRECIAN URN: “Beauty is truth, truth Beauty – That is all / Ye know on earth, and all ye need know”. Su queste basi Mattei dispone le cose che occorre conoscere sulla terra, non secondo una mera rappresentazione razionalista; la bellezza, infatti, come la nuvola di Erice, vela la realtà: le pagine del libro, i colori, i lampioni gialli; “soffoca” il “bianco”, che “non è colore”, ma “accende” gli altri colori (p. 50). La nube (la bellezza) copre il vero (il bianco), che come luce dovrebbe illuminare il senso. La verità è luce che rende possibile la conoscenza e l’apprezzamento del bello. Il mare, da cui nacque Venere, vela e svela la spiaggia nel movimento che è il “gioco di Afrodite con la schiuma”: metafora, anche questa, della bellezza. La bellezza, come la verità, può essere distrutta da un nonnulla: occorre trattenere il fiato perché “un colpo di tosse” non mandi “in frantumi / il silente paesaggio / l’immobilità respira”; c’è “divieto / di parlarne si resta / senza parole” (p. 14).

Il secondo testo, DIRAC E LA BELLEZZA, coglie la bellezza nell’equazione matematica di Dirac. La formula, che si trova nell’Aula Magna del Centro Ettore Majorana di S. Domenico, verte sull’ipotesi dell’esistenza dell’antimateria. Vengono evocate “le passate beltà”, non solo quelle dell’arte, ma anche quelle connesse all’“equazione”. Per i greci le dimostrazioni ben eseguite sono belle: la scienza ha una sua intrinseca bellezza, che dà proprio per questo eudemonia, felicità; essa attiene alla perfezione formale del ragionamento.


NOTE

[1] P. Mattei, L’IMMAGINAZIONE CRITICA, Roma, Zone, 2009, p. 21.