19/12/15

Sean Ellis, METRO MANILA


Regno Unito e Filippine, 2013. Con John Arcilla, Jake Macapagal, Althea Vega

Il titolo si riferisce all’area metropolitana che comprende la capitale Manila e indica subito uno dei motivi tematici del film, il contrasto tra città e campagna, che si concretizza, da un lato, nell’ingenuità dei migranti interni, facili prede dell’accaparramento e dell’inganno dei residenti urbanizzati; dall’altro lato nel passaggio da una forma di povertà contadina, basata su una difficile sussistenza, a una modalità di povertà cittadina, con residenza negli slum e compromessi etico-esistenziali dovuti alla lotta per la sopravvivenza.

È una pellicola articolata su vari livelli. L’intreccio poliziesco, in parte, si innesta su un realismo documentario che mette in rilievo l’emarginazione con riprese sulle strade, negli interni delle case e nei locali pubblici; denuncia lo sfruttamento di donne costrette a semi o totale prostituzione dall’indigenza; affronta il problema della gelosia sociale, intesa come aspirazione a possedere di più, a usare sistemi anche illegali per affiorare dal sommerso del sottoproletariato al benessere relativo della classe media; mostra alti livelli di criminalità; mette in sottotesto, ma con funzione rilevante, la corruzione politica. A sua volta il realismo documentario s’intreccia con elementi di realismo magico, come nella scena ricorrente di un disperato che rapina i passeggeri di un aereo e poi si lancia nel vuoto con un paracadute di sua confezione, che lungi dal proteggerlo ne provoca la morte come prevedibile, ma la scena viene esplicata pienamente solo alla fine, ricorrendo come un sogno in particolari mutili varie volte nel corso del film.

La storia è quella di Oscar e della moglie Mai, che con le due figliolette si trasferiscono, per cercare una vita più dignitosa, a Manila. La povertà spinge Mai ad accettare un lavoro in un night club ambiguo, le cui dipendenti intrattengono i turisti stranieri. Oscar trova infine un lavoro che appare rispettabile, con mansioni di autista di un furgone blindato per un’agenzia di sicurezza che trasporta valori per conto di privati e di banche. Sorge un’amicizia tra Oscar e il suo partner, Ong. Oscar si accorge troppo tardi che Ong si è servito di lui per organizzare una rapina. L’amico perisce nel corso dell’azione, mentre Oscar, sacrificando la vita, riesce a far pervenire alla moglie la chiave della cassetta di sicurezza che Oscar voleva rubare, assicurandole così un futuro, ma rendendola vedova.

L’intreccio è più complesso di come lo si è qui brevemente descritto e si prospetta, strutturalmente, come concatenato - da un evento nasce l’altro, ma le basi del successivo erano state poste in dettagli di avvenimenti attestati in precedenza e che apparivano a tutta prima insignificanti, mentre ci si rende conto alla fine che ogni dettaglio era funzionale -.

È anche un film sulla coesione familiare, persistente a dispetto di ogni compromesso sociale nella famiglia di Oscar e Mai, ma frammentaria e inficiata dal denaro e dal tradimento in quella di Ong e di sua moglie.

Inizialmente in inglese, per le riprese iniziali, è stato ritradotto in Tagalog con la collaborazione degli attori, ed è in questa lingua che circola e in cui anche noi lo abbiamo visto con sottotitoli in inglese. Ha vinto premi e nominations per il cinema indipendente.


[Roberto Bertoni]